All’Istituto nazionale della Salute di Parigi (Inserm) hanno monitorato il coronavirus da mesi e per mesi hanno studiato la possibile diffusione nel mondo. La direttrice di ricerca Vittoria Colizza ha elencato i quattro paesi europei ad alto rischio sin dall’inizio: Italia, Francia, Germania e Regno Unito, quattro grandi economie che con la Cina hanno stretti rapporti commerciali. È accaduto in Italia ma poteva accadere altrove.
Il focolaio del virus è come un incendio, può scoppiare o morire sul nascere se non trova di che alimentarsi, è una delle spiegazioni. L’altra è che la Germania, ad esempio, al contrario dell’Italia, ha fatto dall’inizio il tampone solo ai sintomatici, quindi i numeri sono stati da subito più contenuti. Questa la spiegazione italiana.
Quella tedesca è diversa: al contrario della Germania che ha tracciato subito i casi sospetti, l’Italia si è mossa tardi, quando ci sono stati i primi morti, sostiene il Robert Koch Institut, istituto governativo che si occupa della salute nazionale ed è specializzato in malattie infettive. Il 10 marzo comunque la cancelliera Angela Merkel spegne ogni illusione nazionale: tra il 60 e il 70 per cento dei tedeschi potrebbe contrarre il coronavirus, dichiara dopo un incontro in parlamento.
Il 16 marzo l’epidemia si è diffusa in Europa. Nessuno ha più scuse e nessuno si può più nascondere, ma i Paesi procedono per ordine sparso.
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